Wunderkammer

Artisti, mostre, installazioni, allestimenti museali fotografati da Andrea Angelucci.

giovedì 15 dicembre 2011

Ettore Travaglini - Il Pensiero dominante (opere dal 1956 al 1988)


(...) Dagli anni ottanta l'artista sembra assediato da un mondo di simboli. Le certezze di una pittura  di forte impasto degli anni sessanta scompaiono. Le serie degli angeli e dei pterodattili solo raramente recano la firma. Per dipingere si ricorre alle grandi figure della tradizione: agli angeli urlanti delle crocifissioni di Giotto, ai tori e ai cavalli di Picasso trasfigurati nello sforzo di una lotta eternata nella deformazione cubista, ai filamenti dei quadri di Munch, ai vortici del dinamismo futurista, alle fluttuanti movenze delle decorazioni floreali del Liberty.



Travaglini, assediato nella "torre" del "pensiero dominante", si crea un mondo totalmente artificiale e visionario, proiettando lo sguardo oltre il cielo, in un iperuranio popolato dai suoi strani abitanti: angeli, pterodattili, movimenti spiraliformi di polveri colorate. La  terra è lontana: il corpo della terra, il corpo della pittura estenuati, consumati, estinti. Come un astronauta sperduto negli spazi fra le galassie, Travaglini è assediato dall'infinito.

Silvia Cuppini 



"quanto più torno a rivedere colei  della qual ragionando io vivo, cresce quel gran diletto,  cresce quel gran delirio, ond'io respiro". Giacomo Leopardi, Il pensiero dominante.


(...) L'elemento della grata, della griglia è la struttura caratterizzante l'allestimento: all'inizio del percorso  scopriamo i quadri appoggiati alle griglie , quasi fossero in attesa di essere montati, poi li troviamo dietro a questi elementi, quasi li vedessimo dietro un'inferriata, stesi a terra, a impedirci il contatto con loro, poi organizzati e disposti sulle griglie stesse, che trasformano gli ambienti che percorriamo in strutture a gabbia sempre più alte. (...) Gli angeli sembra che precipitino dall'alto, gli uccelli creano un vortice sulle nostre teste fino a tappezzare quasi completamente il nostro orizzonte.


(...) Sembra che l'unico modo per accostarsi a Travaglini, sia di ingabbiarlo per qualche istante, di in- quadrarlo, conducendo la sua immaginazione che vola e spazia in tutte le direzioni nello spazio controllabile della griglia, del quadro, per cui diventi afferrabile. (...)

Roberto Bua



Lo sguardo del fotografo ha il privilegio di leggere e tradurre la realtà con un linguaggio fatto di luce e di geometrie e questo allestimento mi ha permesso di usare tale linguaggio agevolmente.
Quelle linee invisibili che sorreggono la composizione di una foto, in questa esposizione sono griglie che sorreggono e ingabbiano i vortici di colore di Ettore Travaglini, per me utili scansioni geometriche dello spazio e dell'immagine. Poi la luce, che, in un alternarsi teatrale con l'ombra, non descrive un ambiente ma lo ricrea. Non elimina completamente il contenitore ( intravediamo ancora dei tendaggi, delle porte, degli stucchi....) ma lo usa come superficie su cui far sentire la presenza di altro:le gabbie, le opere, lampade mosse dal vento.

Andrea Angelucci



Mostra allestita a Palazzo Gradari di Pesaro nell'Ottobre 2005
a cura di Silvia Cuppini e Roberto Bua
Catalogo Arthemisia a cura di Katia Migliori

martedì 15 novembre 2011

Memoriale dal convento di Jannis Kounellis


L'arte contemporanea torna nel convento dei Servi di Maria di Monteciccardo (PU) con un appuntamento dedicato a Jannis Kounellis. Il titolo del ciclo, tratto da un celebre romanzo dello scrittore portoghese Josè Saramago, sottolinea la particolare natura del luogo che ospita la mostra: un convento del Seicento immerso nel paesaggio marchigiano.



Jannis Kounellis interpreta Monteciccardo come luogo di meditazione e riflessione, attraverso quattro installazioni ospitate nelle celle del conventino. Due sono composte da sedie in legno disposte in circolo:"Ogni cerchio è un coro, una litania o la corona di un rosario, e non sappiamo se celebra un matrimonio o un funerale" spiega l'artista.



Opere che rafforzano la memoria di ritualità composte, scandite da ritmi legati ai cicli naturali del tempo.
Un'esistenza all'insegna dell'ora et labora, che l'artista rievoca attraverso visioni sospese tra realtà e simbolo, mentre le altre due opere si confrontano con la dimensione del quotidiano, espressa attraverso relazioni simboliche tra oggetti di uso comune.



"Monteciccardo ti ha suggerito una mostra silenziosa, con un ritmo giocato su pieni e vuoti, come una partitura musicale, composta da note e pause. Perchè il suono da peso al silenzio e viceversa. Così hai deciso di abitare le stanze del conventino, di capirne l'antico genius loci per rinominarlo senza modificare la sua essenza, ma rianimandola per condurla nel territorio  del nostro quotidiano".

Ludovico Pratesi

                                     


Dal 26 Giugno al 16 Ottobre 2011 -
Centro per l'Arte Contemporanea Il Conventino
Monteciccardo (PU)

Curatori : Ludovico Pratesi e Olimpia Eberspacher





mercoledì 9 novembre 2011

Incontro con Giovanni Mattio




 (...)   Paolo Biscottini.  Quanto conta in quello che dici e in quello soprattutto che fai il fatto che tu sia stato per lunghi anni un docente di letteratura antica? Quanto contano l'antico, la letteratura greca e romana? Penso a quell'ideale di perfezione che era nella classicità, prima greca e poi romana.

Giovanni Mattio. Io credo che conti molto, perché i due motivi ispiratori della mia pittura sono la natura e il mondo, quindi la sua bellezza o le sue contraddizioni. Questi studi che mi hanno permesso di affrontare il percorso del  pensiero umano, della ricerca artistica, dei risultati sotto tutti gli aspetti poetici, ecco quelli che mi hanno dato più suggestione sono i testi poetici, partendo dalla lirica arrivando alla tragedia, nei quali ho colto sensazioni, emozioni, pensieri che avrei voluto esprimere io e che provavo di fronte al mondo, alla vita, al creato.



P.B. Io penso che questo sia profondamente vero. Mi sembra di ritrovare in quello che tu dici molte cose, anche se in me nasce subito una domanda, anzi due riflessioni scaturiscono da quello che tu dici.
Da un lato l'opera d'arte per te ha a che fare con il caos e dall'altro ha a che fare con il gesto creatore: ma mi chiedo se tutto ciò sia da collocare all'interno di una possibile lettura cristiana. Il mondo antico e il mondo cristiano entrano in conflitto? Vorrei capire come l'aspirazione ad una bellezza desunta dalla letteratura, dai lirici alla tragedia, che nulla ha a che fare con il mondo cristiano o pre-cristiano, possa in qualche modo mettersi in relazione sia al caos che al gesto non di un demiurgo, ma un gesto divino creatore nel senso biblico del termine, perché le tue opere hanno una valenza biblica. 

G.M. Io penso che il mondo cristiano, e comunque tutto il percorso della scrittura dall'antico testamento al nuovo, si innesti sulla classicità, prendendone categorie espressive e introducendo delle novità, dal pensiero ebraico al pensiero cristiano, sull'unicità di Dio. Il mondo ebraico-cristiano indaga il mistero del mondo come l'hanno indagato gli antichi e rimane ora ammirato, ora atterrito, ora spaventato, ora invece chino verso l'opera del creatore. Io mi ritengo un cristiano osservante, quindi il pensiero classico non mi turba affatto, cioè mi permette di leggere nella storia: il percorso dell'umanità confluisce nel cristianesimo dove trova quel compimento che conosciamo.





(...) P.B. Vorrei toccare un ultimo argomento, o due argomenti ancora: nel tuo lavoro precedente, in particolar modo nelle opere in cui l'elemento plastico aveva una sua importanza straordinaria e soprattutto negli incastri, c'era una sensualità molto forte che mi sembra qui superata, che non ritrovo in questi dipinti, che sono invece una esplosione di vitalità, di energia vitale,  che non ha bisogno della sensualità, che non ha nulla a che vedere secondo me con la sensualità, configurando un allontanamento dal corpo verso valori spirituali. La seconda questione riguarda invece la natura: mi sembra di capire che nella tua arte la natura non è soltanto il mondo dei sensi o dell'accadimento, ma è il luogo di ciò che è già accaduto, racconta qualcosa che è già accaduto.

G.M. Sulla prima parte, io penso che una scelta cromatica molto più omogenea, portata su toni più pacati, possa controllare e comunque velare quella sensualità che coglievi nelle opere precedenti.
Non escludo che qui ci sia, invece, sensualità, in quanto io penso che in primo luogo si parta sempre dai sensi per arrivare alla conoscenza e in secondo luogo la pittura comunichi attraverso i sensi e in questo caso non soltanto la vista, ma il tatto perché c'è la plasticità che porta anche a toccare, comprendere le opere  attraverso almeno il senso del tatto. Il senso non lo negherei in quanto lo ritengo fondamentale nel processo conoscitivo e quindi anche nel processo di comprensione del mistero e del sacro.






P.B. La seconda cosa invece era quella della natura: se la natura è luogo di qualcosa che è già accaduto, in cui tutto è già accaduto oppure se è luogo dell'accadimento.

G.M. Io ritengo che la natura sia il luogo dell'accadimento,il luogo in cui si rivela continuamente.

P.B. E allora verrebbe da dire che il gesto creativo divino è un gesto creativo che si rinnova continuamente.

G.M. Sicuramente, che si rinnova continuamente, in tutte le cose: quindi potremmo dire qui che potrebbe essere pretestuoso il contenuto del quadro  per arrivare a dire che è un gesto che continua, che prosegue in noi. (...)

Tratto da  All'origine del "sacro"- conversazione fra Paolo Biscottini e Giovanni Mattio.

venerdì 28 ottobre 2011

"L'umore dell'aria" di Giovanni Mattio

Calma di vento, 2010-2011

Al soffio di Dio (...), si affianca ancora il recente e intenso capitolo de L' umore dell'aria, ciclo al quale danno vita alcune grandi tele e nuove opere sagomate, dalle forme che ricordano, anche qui, l'immaginario delle forme di vita cellulare. Trasparenze, grumi di materia, ossidi, terre, resine concorrono a creare dipinti in cui la luce trascorre, vi penetra l'aria, occhieggiano vampe di fuoco.
Vento fresco,  2010-2011

Il vento muove masse umide, le addensa, le spazza. Qua e là ribollono gorghi, compaiono spazi siderali, la terra si intuisce lontana. Il linguaggio puro della pittura, a cui l'artista si affida e di cui indaga le valenze emozionali, non impedisce all'occhio di percepire le forme mutevoli di una natura guardata con la lente di ingrandimento, penetrata nella sua sostanza.
Bava di vento,  2010-2011

Immutato rimane il temperamento irruente con cui Mattio avvicina l'opera durante la sua esecuzione, quasi un corpo a corpo in cui il quadro, talvolta, ha persino bisogno di essere bistrattato. Vale ancora quanto aveva notato Cerri nel 2000:  per Mattio " è rimasto indispensabile il rapporto tattile con il corpo vivo e pulsante della pittura; un corpo fatto di impasti e misture da provare e verificare, con il quale l'autore si mette in discussione ogni giorno, affrontando una nuova temibile tela bianca".

Da Temi della materia. Percorso di Giovanni Mattio.
di Luca Pietro Nicoletti

Aestus, 2009
Brezza, 2010-2011

L'umore dell'aria
di
Giovanni Mattio

Il torchio -  Costantini Arte Contemporanea - Milano
dal 20 Ottobre al 19 Novembre 2011


                                

martedì 25 ottobre 2011

Ruah - Il soffio di Dio. L'opera di Giovanni Mattio

"Iddio creò l'uomo........", 2011
L'esposizione, a cura del Prof. Paolo Biscottini, comprende grandi tele, dittici, trittici che introducono all'opera summa del motivo ispiratore: l'Annunciazione. Qui una torre svettante e policroma ( i colori sono quelli del germoglio, che si fa pianta, che si nutre della luce e sprofonda nel cielo), sintesi di campanili e minareti, ancorata a un piedistallo a gradoni, si erge tra le due vasche, contenenti una acqua, l'altra terra ( nera, cotta dal fuoco) e si affianca a una scala leggera che sale fin quasi  a raggiungere la sua sommità. Una piccola campana pende in una finestrella della torre in attesa di un tocco, di un soffio di vento.

L'albero del bene e del male, 2011
"La simbologia rimanda al percorso biblico, vetero e neotestamentario - spiega Giovanni Mattio; la torre degli uomini che vogliono raggiungere il cielo,  la turris eburnea eletta tramite tra l'umano e il divino, la scala di Giacobbe che segna la vittoria sull'angelo e la scala dell'angelo che scende sulla terra, la campana che annuncia e che accoglie, l'acqua lustrale che riceve il  soffio vivificatore, la terra purificata dal fuoco dello Spirito".

Annunciazione, particolare, 2010

Annunciazione, 2010
Le grandi tele, dipinte con una fitta trama di cromie  dominata dalle tonalità del blu, indagano nel mistero del mondo attraverso la simbologia giudaico-cristiana e la legge della Natura. Una lieve figurazione consente di interpretare la scena alla luce dei singoli episodi della Scrittura assunti come segno della presenza del Ruah ( che assume pittoricamente la forma di un'ampia e materica  pennellata che gestualmente si incunea nella rappresentazione ), ma il senso del dipinto non si esaurisce qui.

Incipit, 2011

Quinto giorno, 2011
Anzi da qui parte per creare una tramatura di segni, di materie inorganiche ( sabbie, madrepore, scorie di ferro, di laterizio, quarzi, serpentini ), ora naturali, ora impastati con il colore, gli ossidi, le terre, che confluiscono in una superficie dipinta in cui tra densità e trasparenze, vibra la luce, l'aria vi trascorre;  in cui si avverte la presenza di quello Spirito vivificatore che è all'origine del cosmo e che prosegue nella vita, nelle scelte, nei nostri gesti. Anche in quello dell'arte, che scava e cerca risposte. Il risultato è una pittura che parla di sé stessa, della propria ragione profonda che l'ha resa gesto espressivo, linguaggio, strumento di indagine poetica: la suggestione del segno e del colore come guida al senso delle cose.

Ruah, 2010
Ruah: il soffio di Dio
Museo Diocesano - Milano 
dal 17 Ottobre al 20 Novembre 2011
Curatore : Prof. Paolo Biscottini




lunedì 8 agosto 2011

Profondi Sguardi - I testi

Proponiamo alcuni testi fra i tanti scelti da Francesca Giacché e che costituiscono la parte letteraria di questa ricerca.


Palombari

Mani che guizzano,
bianche e nude,
nel verde torvo
di un velo di nebbia.

Si toccano,
parlano,
chiamano:
con il gesto antico
di un lessico
ormai perduto.

Vestito di gomma
rappreso,
duro,
untuoso e liso.

Tubi tortuosi,
cavi intrecciati
che pendono,
stringono, flettono,
si perdono tra le bolle.

Piedi grandi,
pesanti,
lenti
nel loro incedere.

Figure rallentate,
pendule,
affannate,
giganti:
si muovono
maestose.

Dentro il grande casco
di rame
gli occhi
ammiccano
vigili,
brucianti di sudore.

Le mani
s'intrecciano
in un vociare
di silenzi.

Le parole le vedi
fuggire nel sole,
verso l'alto,
dentro l'argento:
nelle bolle
dell'aria viziata.

                  Sergio Loppel





Sospeso scende il palombaro.......

Sospeso scende il palombaro,
avvolto in un cono di luce,
circondato da vaghe ombre
assorbite dalle tenebre abissali.
Una nuvola passa,
si spegne il fascio di luce.
Cosa vede il palombaro?
Cieco solitario
continua a scendere nel buio,
gli occhi sulle dita.
Toccano il fondo i piedi di piombo,
pulviscolo di fango si solleva
invisibile nell'oscurità;
avanza adesso, lottando
come ebbro contro le correnti,
protendendo in avanti la sua testa di rame,
muove a fatica verso la grande sagoma indistinta.
Cosa sente il palombaro?
Gorgoglio di bolle
liberate verso l'alto,
rimbombare di un motore lontano,
rumore metallico di lamiere
scosse dalle maree,
o forse, soltanto il canto delle sirene.
Passa la nuvola,
si riaccende un poco il cono di luce,
un nugolo di piccoli pesci ora lo avvolge,
dunque è giunto alla meta:
relitto tomba nel mare,
nurserie di nuova vita.
Cosa pensa il palombaro?
Sospeso nell'abisso,
imprigionato in una specie d'incantesimo,
rischia di farsi liquido anche il suo pensiero,
ma non può permetterlo,
qualche tocco alla cima
e dall'alto calano la prima carica.
Adesso si comincia.

                                 Francesca Giacché




Ode al palombaro


Uscì l'uomo di gomma dai mari.
Seduto pareva assoluto re dell'acqua,
polipo misterioso e pingue,
corporatura spezzata di un'invisibile alga.
Dall'oceanico battello scesero pescatori cenciosi,
resi lividi dalla notte sull'oceano,
scesero reggendo lunghi pesci,
fosforescenti come fuoco voltaico
e i ricci, cadendo, ammucchiarono sulla sabbia
il fragile rancore dei loro aculei.
L'uomo sottomarino mise fuori le sue grosse gambe,
barcollò goffamente fra gli intestini orrendi della pesca.
I gabbiani tagliavano l'aria libera con le rapide forbici,
e il palombaro, come un ubriaco,
camminava sulla spiaggia, torpido e fosco,
non solo infoderato nel suo abito cetaceo,
ma ancora metà mare e metà terra,
senza sapere come avviare gli immensi piedi di gomma.
Lì stava nascendo.
Si staccò dal mare come dall'utero, innocente,
ed era confuso, debole e selvaggio, come un neonato.
Ogni volta gli toccava nascere per le acque o per la sabbia.
Ogni giorno calare dalla prua nelle crudeli correnti,
nel freddo del Pacifico cileno,
il palombaro doveva nascere,
farsi mostro, ombra, avanzare con cautela,
imparare a muoversi con lentezza di luna subacquea,
avere appena pensieri d'acqua,
raccogliere le ostili frutta, stalattiti o tesori
della  profonda solitudine di quei madidi cimiteri,
come se raccogliesse cavolfiori,
e quando come un globo d'aria nera saliva verso la luce,
verso la sua Rosaura, la sua Mercedes, la sua Clara,
gli era difficile camminare, pensare, mangiare di nuovo.
Tutto era un ricominciare daccapo per quell'uomo così grande,
ancora incompiuto, barcollante fra l'oscurità di due abissi.
Come tutte le cose che imparai nella mia vita,
vedendole, conoscendole,
forse imparai che fare il palombaro
è un mestiere difficile? No!
Infinito

                                Pablo Neruda