Wunderkammer

Artisti, mostre, installazioni, allestimenti museali fotografati da Andrea Angelucci.

venerdì 3 maggio 2013

Incarnazione del segno - Allestimento della mostra a Urbino


Francesca Magro
Incarnazione del segno
Incisioni
fotografie di Andrea Angelucci
8 Marzo - 8 Maggio
Urbino - Museo della Città
progetto grafico e allestimento della mostra miras, Urbino
catalogo Silvana Editoriale a cura di Luca Pietro Nicoletti












venerdì 22 marzo 2013

Incarnazione del segno - Francesca Magro


Le lastre incise da Francesca Magro per la mostra "Incarnazione del segno", tuttora in corso ad Urbino presso il Museo della città  fino all' 8 Maggio 2013, fotografate nella loro contaminazione con liquidi, inchiostri, chimici, hanno prodotto le immagini che seguono, in una felice alchimia di sovrapposizioni di segni e impressioni.

Andrea  Angelucci









lunedì 4 marzo 2013

Giorgio Tentolini - L'ombra del reale

Giorgio Tentolini con l'opera Le sette strade
Riportiamo alcuni brani di un intervista di Piero del Giudice a Giorgio Tentolini, pubblicata sul numero di Luglio-Agosto 2012  di Galatea European Magazine e ringraziamo per la gentile concessione.

Querce, 2007 (particolare)

(......)
Le Sue opere , almeno in parte , si presentano come negativi. Nella sua opera non ci sono , a parte qualche eccezione, colori. Opere in bianco e nero....
Fa parte di una ricerca della neutralità. La fotografia funziona da filtro tra ciò che l'occhio vede e la memoria. Non è il bianco e nero ma sono grigi su grigi. Non voglio aggiungere emozionalità ai miei soggetti. Il nero è la somma di tutti i colori, andando a sommare si arriva al nero. Il nero è la neutralità. Ho un ricordo forte: bambino a cinque anni mi sono ritrovato in un campo pieno di neve con la nebbia, non mi sono sentito perso, ma mi sono sentito parte della natura, è uno dei primi ricordi che ho della natura. Mi sono sentito parte della natura.
Niente colori neanche da bambino. Il nero e poi la luce. La luce che proietta l'immagine, no?
I miei lavori realizzati hanno quasi sempre bisogno di una luce particolare, altrimenti non si vedrebbero. La fotografia, il grado zero dei miei lavori, è il primo step. Quello che interessa è una diversa fruizione dell'immagine fotografica trasportata su un altro supporto - la carta, il legno, l'acetato. L'immagine fotografica stampata su questi supporti la si distingue , in alcune mie opere, attraverso la sua proiezione.
L'ombra della realtà. Parliamo allora delle Querce?
All'inizio ci sono foto di querce, tagliate a strisce e stampate su strisce di acetato. Quando proietto una luce su questi oscillanti tendaggi di plastica  dietro appare l'ombra delle querce, i rami si muovono al vento  della luce, si anima l'immagine dell'albero. Le foto le faccio in giro per la campagna. Voglio documentare delle cose che tra qualche anno non ci saranno più. Questa era una terra molto boschiva, le piante sono state tolte per fare spazio all'agricoltura intensiva.
E' il ricordo di una natura che scompare , ma l'ombra delle Querce è anche un soprassalto di colpa?
Nelle querce c'è questo senso di risucchio  dentro la terra e nell'opera finita vediamo l'ombra che riemerge e che la terra proietta. L'ombra è il ricordo e la colpa. Sono figlio di agricoltori ho questo senso di colpa. Sento molto la colpa della specie umana, sono ecologista faccio di tutto per non lasciare segni nella natura, sento la colpa di quello che l'uomo sta facendo contro la natura.

Querce, 2007 (particolare)

Poi questi lavori sulla carta, gli Extra muros , che sono cascine diroccate, abbandonate, dei fantasmi.....
In questo scavo sulla carta rappresento anche un certo metabolismo della materia. Si aspetta che la cascina evacuata muoia, è una specie di agonia della cascina. Sono lavori sulla memoria, gruppi di cascine diroccate che erano qualche decennio fa dei vivi microcosmi, sociali ed economici. Una memoria che si perde.
Lei lavora a strati sovrapposti di carta.  Perché la carta?
La carta è un materiale senza tempo che c'è da sempre, dalla pergamena in poi.E' un materiale di uso comune. C'è il discorso della manualità, potrei fare delle copie dei lavori quasi identiche con il taglio laser, ma mi interessa il tempo di lavoro manuale con cui eseguo l'opera. E' il mio contributo all'opera, se la facessi con il taglio laser la consegnerei direttamente allo stampatore. Ma lavorando con le mie mani, non posso fare copie , ogni pezzo è un pezzo unico. Se c'è una variante la voglio prodotta dalla mia mano che certo cambia, ma perché la guido io.
Una materia stratificata evoca l'informale, no?
Nell'informale c'è molta più istintualità, qui c'è molto più controllo della materia. Le mie cose nascono da un controllo. Queste opere sono stratigrafie di carta, carte incise, le vado a sovrapporre , di solito uso sette fogli, poi li presso.  Se ci sono troppi strati, troppe carte, rendono caotica l'opera, tolgono riconoscibilità al soggetto. 
Possiamo ripercorrere il processo di realizzazione di un'opera?
C'è la fase creativa in cui progetto l'opera. L'opera nasce da un progetto preciso dove analizzo quello che voglio comunicare, studio il soggetto, studio la tecnica, poi per il resto c'è molta metodica
A differenza di un pittore e di uno scultore in cui la tensione c'è per tutta la durata della realizzazione, nel mio caso, una volta progettata l'opera il resto è quasi tutta metodica, anche una successione di minuzie. Mi piace qui dire che questa metodica l'ho imparata da mia nonna, dal ricamo e dal lavoro all'uncinetto, dal lavoro in campagna. Altro aspetto principale in tutta questa metodica è la mia personale esigenza di "staccare la testa"  concentrandomi nella realizzazione così minuziosa dei lavori.


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L'Arte-povera è un passaggio del Suo lavoro.......
Un rapporto importante per me. Utilizzo dei materiali di recupero e anche formalmente non c'è nulla  di prezioso, la carta non è un materiale prezioso. Tante volte uso carta riciclata, riportando in vita qualcosa che ha quasi esaurito il proprio ciclo. E' una salvazione in estremo  dei materiali subito prima che vengano gettati. In un certo senso è salvare la loro memoria. Materiali d'uso che faccio uscire dal loro uso consueto. Questa è carta comune, così come i legni sono legni comuni che sarebbero stati destinati a qualsiasi altro uso. Non promuovo, non nobilito queste materie, ma metto in scena oggetti di uso comune perché fanno parte della nostra vita. Lavori estremamente semplici - carte sovrapposte, strisce di fotografie - che però danno un ampliamento della percezione. I soggetti stessi non hanno niente di stupefacente, ma è proprio questo punto di partenza "non essere stupefacenti" che crea la mia curiosità e anche nello spettatore. Andare a registrare dei "percorsi di passaggio" altrimenti tralasciati, gesti che compiamo di cui siamo inconsapevoli.  Le fotografie che faccio io sono tutto il contrario di quello che fa un fotoreporter che va a catturare un attimo eccezionale, io catturo un attimo normale, inconsapevole, anonimo. 
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Parliamo di Genomi, l'opera della svolta?
Si tratta di un progetto per una mostra il cui tema era "sviluppo nello spazio-tempo". Mi sono dato un periodo di tempo - un mese - per mettere in campo tutte le persone che avrei potuto fotografare in quel periodo. Il genoma è il frutto del dna di una persona che deriva da tutte le persone  che hanno costruito il dna di questa persona. Ho voluto costruire il dna di quel periodo, un mese di tempo.Volevo rappresentare il patrimonio genetico di un dato periodo di tempo, un mese di tempo caratterizzato 'geneticamente' da tutti i posti che frequentavo viaggiando, dalle persone che incontravo nel viaggio, sul luogo di lavoro, da quasi tutte le persone con cui parlavo in quel periodo e a cui chiedevo di poter fare un ritratto. Centinaia di foto, centinaia di ritratti. Li ho stampati su acetato, li ho sovrapposti, arrivando ad avere una sorta di ritratto multiplo. Guardandolo frontalmente uno vede una testa, guardando di fianco si vanno a vedere tutti i singoli ritratti sovrapposti e sagomati sulla testa di un manichino.
Mi interessava questo collegamento e questa similitudine che c'è nel dna di un individuo, rispetto a tutte le persone che ha frequentato in un lasso di tempo. Andando a sovrapporre i volti si perde la riconoscibilità di un singolo individuo e si ha quella di una moltitudine di individui. Una raccolta di tutto il patrimonio delle persone con cui ci siamo 'contaminati' in un periodo di tempo, l'accumulo di tutti i rapporti umani avuti in quel lasso di tempo. La sovrapposizione  delle foto delle teste segue anche un ordine cronologico, la successione delle apparizioni umane nella mia vita in quel mese.

Genomi, 2004

(...)

Parliamo ancora di un paio di opere, Il Giuba esplorato e Le sette strade. Nel  Giuba, ancora una volta la necessità di una luce direzionata per poter vedere l'opera. Perché porta a termine un ciclo sulle fotografie che Bottego scatta nel Giuba?
E' un ciclo che va dal 2006 al 2009. Ho utilizzato le fotografie che Vittorio Bottego - esploratore e ufficiale italiano nella seconda metà dell'Ottocento celebrato per le esplorazioni nel Corno d'Africa, ucciso in combattimento dagli autoctoni - ha scattato nel Giuba, perché il posto dove è stata esposta l'opera è la casa natale del Bottego, a Parma. Volevo lavorare sulla memoria del Bottego e le fotografie fanno poi parte delle sue memorie che si chiamano il Giuba eplorato. Prendo queste foto, le seziono e taglio a striscioline e le applico tra delle bacchette di legno. Legnetti accostati che sostengono le foto sezionate e stampate su carta trasparente. La foto si tova ad essere perpendicolare a queste strisce e allora vediamo l'ombra che  proietta attraverso l'acetato. L'opera è composta dauna serie di grandi figure di indigeni che, appunto Bottego incontra e fotografa durante la sua esplorazione del fiume Giuba. Ho scelto di utilizzare il legno come elemento terreno e primordiale. Queste assicelle sono tutte recuperate da pallets, i bancali che si utilizzano per trasportare le merci - mansione questa che gli indigeni ricoprivano durante le spedizioni di esplorazione e conquista dell'Ottocento.

Il Giuba esplorato, 2006

Lavorando in questa direzione e quasi per andare a recuperare l'anima dell'immagine ho scelto di rappresentare  la fotografia attraverso l'ombra che questa proietta sul supporto per darle una sorta di dipendenza dalla luce - elemento vitale tanto per gli alberi da cui provengono questi legni quanto per la fruibilità dell'opera. E' infatti possibile vederla nella sua completezza solamente se questa è posta ad una determinata distanza e posizione rispetto alla fonte luminosa. Questi guerrieri hanno le loro lance, il loro elemento di difesa, attacco e status in posizione di quiete le tendono verso l'alto, verso la luce appunto ed è per questo che le ho evidenziate con il colore rosso.
Lasciamo le ombre degli autoctoni armati e il cuore di tenebra dell'Europa. Ecco, siamo tornati qui, al Suo paese, Casalmaggiore. La piccola patria cui Lei dedica l'opera, Le sette strade. Di cosa si tratta?
Sono le sette strade che portano alla piazza grande del paese. E' un'opera promossa da una iniziativa culturale del Comune che ha aperto un ciclo di cinque-sei mostre esposte all'interno della rinnovata edicola tra liberty e deco, installata sul lato sud-est della piazza. Edicola rimossa per restauro per un lungo periodo e poi reinsediata. La piazza è l'ombelico, il ventre, il centro. A questa centralità si collega anche questa edicola, da fine ottocento un punto di aggregazione e riconoscimento del paese. La piazza è la maternità di una comunità. Le strade portano li. Mi sono ispirato anche alle tecniche del teatrino del settecento con le scoperte dell'ottica applicata. C'è un discorso di città ideale, di auree misure prospettiche, di una sorta di neoumanesimo, ma soprattutto li interessa la rappresentazione della nebbia.
Nebbia che è un simbolo del paese, terra d'acqua. Nebbia d'inverno e caldo umido, afa d'estate. Sono partito da fotografie che ho scomposto digitalmente attraverso la costruzione prospettica delle immagini, le ho poi successivamente stampate su acetato, sovrapponendo gli acetati si arriva alla sensazione di una immagine resa sfocata dalla nebbia e dalla luce nella nebbia. Gli uomini hanno bisogno di un centro di aggregazione, capita spesso di rappresentare un paese attraverso le sue piazze, la piazza dà davvero la sensazione di essere centro di un anche piccolo universo.