Wunderkammer

Artisti, mostre, installazioni, allestimenti museali fotografati da Andrea Angelucci.

lunedì 8 agosto 2011

Profondi Sguardi - I testi

Proponiamo alcuni testi fra i tanti scelti da Francesca Giacché e che costituiscono la parte letteraria di questa ricerca.


Palombari

Mani che guizzano,
bianche e nude,
nel verde torvo
di un velo di nebbia.

Si toccano,
parlano,
chiamano:
con il gesto antico
di un lessico
ormai perduto.

Vestito di gomma
rappreso,
duro,
untuoso e liso.

Tubi tortuosi,
cavi intrecciati
che pendono,
stringono, flettono,
si perdono tra le bolle.

Piedi grandi,
pesanti,
lenti
nel loro incedere.

Figure rallentate,
pendule,
affannate,
giganti:
si muovono
maestose.

Dentro il grande casco
di rame
gli occhi
ammiccano
vigili,
brucianti di sudore.

Le mani
s'intrecciano
in un vociare
di silenzi.

Le parole le vedi
fuggire nel sole,
verso l'alto,
dentro l'argento:
nelle bolle
dell'aria viziata.

                  Sergio Loppel





Sospeso scende il palombaro.......

Sospeso scende il palombaro,
avvolto in un cono di luce,
circondato da vaghe ombre
assorbite dalle tenebre abissali.
Una nuvola passa,
si spegne il fascio di luce.
Cosa vede il palombaro?
Cieco solitario
continua a scendere nel buio,
gli occhi sulle dita.
Toccano il fondo i piedi di piombo,
pulviscolo di fango si solleva
invisibile nell'oscurità;
avanza adesso, lottando
come ebbro contro le correnti,
protendendo in avanti la sua testa di rame,
muove a fatica verso la grande sagoma indistinta.
Cosa sente il palombaro?
Gorgoglio di bolle
liberate verso l'alto,
rimbombare di un motore lontano,
rumore metallico di lamiere
scosse dalle maree,
o forse, soltanto il canto delle sirene.
Passa la nuvola,
si riaccende un poco il cono di luce,
un nugolo di piccoli pesci ora lo avvolge,
dunque è giunto alla meta:
relitto tomba nel mare,
nurserie di nuova vita.
Cosa pensa il palombaro?
Sospeso nell'abisso,
imprigionato in una specie d'incantesimo,
rischia di farsi liquido anche il suo pensiero,
ma non può permetterlo,
qualche tocco alla cima
e dall'alto calano la prima carica.
Adesso si comincia.

                                 Francesca Giacché




Ode al palombaro


Uscì l'uomo di gomma dai mari.
Seduto pareva assoluto re dell'acqua,
polipo misterioso e pingue,
corporatura spezzata di un'invisibile alga.
Dall'oceanico battello scesero pescatori cenciosi,
resi lividi dalla notte sull'oceano,
scesero reggendo lunghi pesci,
fosforescenti come fuoco voltaico
e i ricci, cadendo, ammucchiarono sulla sabbia
il fragile rancore dei loro aculei.
L'uomo sottomarino mise fuori le sue grosse gambe,
barcollò goffamente fra gli intestini orrendi della pesca.
I gabbiani tagliavano l'aria libera con le rapide forbici,
e il palombaro, come un ubriaco,
camminava sulla spiaggia, torpido e fosco,
non solo infoderato nel suo abito cetaceo,
ma ancora metà mare e metà terra,
senza sapere come avviare gli immensi piedi di gomma.
Lì stava nascendo.
Si staccò dal mare come dall'utero, innocente,
ed era confuso, debole e selvaggio, come un neonato.
Ogni volta gli toccava nascere per le acque o per la sabbia.
Ogni giorno calare dalla prua nelle crudeli correnti,
nel freddo del Pacifico cileno,
il palombaro doveva nascere,
farsi mostro, ombra, avanzare con cautela,
imparare a muoversi con lentezza di luna subacquea,
avere appena pensieri d'acqua,
raccogliere le ostili frutta, stalattiti o tesori
della  profonda solitudine di quei madidi cimiteri,
come se raccogliesse cavolfiori,
e quando come un globo d'aria nera saliva verso la luce,
verso la sua Rosaura, la sua Mercedes, la sua Clara,
gli era difficile camminare, pensare, mangiare di nuovo.
Tutto era un ricominciare daccapo per quell'uomo così grande,
ancora incompiuto, barcollante fra l'oscurità di due abissi.
Come tutte le cose che imparai nella mia vita,
vedendole, conoscendole,
forse imparai che fare il palombaro
è un mestiere difficile? No!
Infinito

                                Pablo Neruda